2008-12-21 15:28:13 UTC
L'atteggiamento dell'uomo primitivo nei confronti della morte è notevole
perché nettamente contraddittorio. Da una parte egli prendeva la morte sul
serio, la considerava come la fine della vita e se ne serviva di
conseguenza; dall'altra, egli la negava, si rifiutava di attribuirle ogni
significato ed ogni efficacia. Questa contraddizione si spiega in parte con
il fatto che il suo modo di considerare la morte degli altri, dello
straniero, del nemico, differiva radicalmente da quello con il quale
considerava la prospettiva della propria morte. La morte degli altri gli
sembrava seria, egli vedeva in essa il modo di annientare quelli che odiava,
e l'uomo primitivo non provava il minimo scrupolo né la minima esitazione a
provocare la morte. Egli era certamente un essere molto passionale, più
crudele e più cattivo che gli altri animali; uccideva volentieri e nel modo
più naturale del mondo. Non abbiamo alcun motivo di attribuirgli l'istinto
che impedisce a tanti altri animali di uccidere e divorare gli individui
della propria specie.
Così, la storia primitiva dell'umanità è piena di massacri [cut]
Certamente, l'uomo primitivo poteva raffigurarsi la propria morte con la
stessa difficoltà che proviamo noi, e questa doveva apparirgli tanto irreale
quanto noi troviamo irreale la nostra. Ma c'era un caso in cui i suoi due
sentimenti nei confronti della morte dovevano incontrarsi ed entrare in
conflitto.
Era il caso in cui egli vedeva morire uno dei suoi cari, sua moglie, i suoi
figli, l'amico, che egli amava certamente quanto amiamo le persone che ci
sono care, perché l'amore non deve essere meno antico della tendenza
all'assassinio. Nel suo dolore ,egli doveva dirsi che la morte non risparmia
nessuno, che egli stesso morrà, così come muoiono gli altri, e tutto il suo
essere si rivoltava contro questa constatazione: ciascuna di queste persone
non era forse una parte del suo proprio Io che egli amava tanto? Ma, per
altro verso, la morte di una persona cara gli appariva naturale in quanto,
se questa faceva parte del suo Io, pure, per certi aspetti, gli era
estranea. La legge dell'ambivalenza affettiva, che ancora oggi domina il
nostro atteggiamento nei confronti delle persone che amiamo di più, nei
tempi primitivi doveva esercitare una azione meno limitata. Così, questi
cari morti erano stati, nello stesso tempo, degli stranieri e dei nemici nei
confronti dei quali egli nutriva anche sentimenti ostili.[cut]
L'uomo non poteva più evitare di pensare alla morte che il dolore provocato
dalla scomparsa di una persona cara gli faceva toccare con mano; ma, nello
stesso tempo, non voleva ammetterne la realtà, perché non poteva immaginare
se stesso al posto del morto. Così, egli si vide costretto ad adottare un
compromesso: pur ammettendo di poter a sua volta morire, si rifiutò di
vedere in questa eventualità l'equivalente della sua totale scomparsa,
mentre trovava assolutamente naturale che questo accadesse per il nemico. È
davanti al cadavere della persona cara che egli immaginò gli spiriti, e,
poiché si sentiva colpevole di un sentimento di soddisfazione che veniva ad
unirsi al suo dolore, ben presto questi spiriti si trasformarono in demoni
cattivi di cui bisognava diffidare. I cambiamenti successivi alla morte gli
suggerirono l'idea di una scomposizione dell'individuo in un corpo e una (in
un primo tempo più di una) anima. Il continuo ricordo del morto divenne la
base della credenza in altre forme di esistenza, gli suggerì l'idea di una
continuazione della vita dopo la morte apparente.[cut]
.Di fronte al cadavere della persona amata sorsero non solo la dottrina
delle anime, la credenza nell'immortalità, ma anche, insieme al senso di
colpa che non tardò a mettere radici profonde, i primi comandamenti morali.
Il primo e più importante comandamento che sia scaturito dalla coscienza
appena svegliata fu : non uccidere. Esso esprimeva la reazione contro il
sentimento di soddisfazione piena di odio che si provava, insieme alla
tristezza, di fronte al cadavere della persona cara, e si è a poco a poco
esteso agli estranei indifferenti e persino ai nemici odiati.
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http://www.indes.info/?sezione=lectiomundi&argomento=02&link=03b
perché nettamente contraddittorio. Da una parte egli prendeva la morte sul
serio, la considerava come la fine della vita e se ne serviva di
conseguenza; dall'altra, egli la negava, si rifiutava di attribuirle ogni
significato ed ogni efficacia. Questa contraddizione si spiega in parte con
il fatto che il suo modo di considerare la morte degli altri, dello
straniero, del nemico, differiva radicalmente da quello con il quale
considerava la prospettiva della propria morte. La morte degli altri gli
sembrava seria, egli vedeva in essa il modo di annientare quelli che odiava,
e l'uomo primitivo non provava il minimo scrupolo né la minima esitazione a
provocare la morte. Egli era certamente un essere molto passionale, più
crudele e più cattivo che gli altri animali; uccideva volentieri e nel modo
più naturale del mondo. Non abbiamo alcun motivo di attribuirgli l'istinto
che impedisce a tanti altri animali di uccidere e divorare gli individui
della propria specie.
Così, la storia primitiva dell'umanità è piena di massacri [cut]
Certamente, l'uomo primitivo poteva raffigurarsi la propria morte con la
stessa difficoltà che proviamo noi, e questa doveva apparirgli tanto irreale
quanto noi troviamo irreale la nostra. Ma c'era un caso in cui i suoi due
sentimenti nei confronti della morte dovevano incontrarsi ed entrare in
conflitto.
Era il caso in cui egli vedeva morire uno dei suoi cari, sua moglie, i suoi
figli, l'amico, che egli amava certamente quanto amiamo le persone che ci
sono care, perché l'amore non deve essere meno antico della tendenza
all'assassinio. Nel suo dolore ,egli doveva dirsi che la morte non risparmia
nessuno, che egli stesso morrà, così come muoiono gli altri, e tutto il suo
essere si rivoltava contro questa constatazione: ciascuna di queste persone
non era forse una parte del suo proprio Io che egli amava tanto? Ma, per
altro verso, la morte di una persona cara gli appariva naturale in quanto,
se questa faceva parte del suo Io, pure, per certi aspetti, gli era
estranea. La legge dell'ambivalenza affettiva, che ancora oggi domina il
nostro atteggiamento nei confronti delle persone che amiamo di più, nei
tempi primitivi doveva esercitare una azione meno limitata. Così, questi
cari morti erano stati, nello stesso tempo, degli stranieri e dei nemici nei
confronti dei quali egli nutriva anche sentimenti ostili.[cut]
L'uomo non poteva più evitare di pensare alla morte che il dolore provocato
dalla scomparsa di una persona cara gli faceva toccare con mano; ma, nello
stesso tempo, non voleva ammetterne la realtà, perché non poteva immaginare
se stesso al posto del morto. Così, egli si vide costretto ad adottare un
compromesso: pur ammettendo di poter a sua volta morire, si rifiutò di
vedere in questa eventualità l'equivalente della sua totale scomparsa,
mentre trovava assolutamente naturale che questo accadesse per il nemico. È
davanti al cadavere della persona cara che egli immaginò gli spiriti, e,
poiché si sentiva colpevole di un sentimento di soddisfazione che veniva ad
unirsi al suo dolore, ben presto questi spiriti si trasformarono in demoni
cattivi di cui bisognava diffidare. I cambiamenti successivi alla morte gli
suggerirono l'idea di una scomposizione dell'individuo in un corpo e una (in
un primo tempo più di una) anima. Il continuo ricordo del morto divenne la
base della credenza in altre forme di esistenza, gli suggerì l'idea di una
continuazione della vita dopo la morte apparente.[cut]
.Di fronte al cadavere della persona amata sorsero non solo la dottrina
delle anime, la credenza nell'immortalità, ma anche, insieme al senso di
colpa che non tardò a mettere radici profonde, i primi comandamenti morali.
Il primo e più importante comandamento che sia scaturito dalla coscienza
appena svegliata fu : non uccidere. Esso esprimeva la reazione contro il
sentimento di soddisfazione piena di odio che si provava, insieme alla
tristezza, di fronte al cadavere della persona cara, e si è a poco a poco
esteso agli estranei indifferenti e persino ai nemici odiati.
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